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Noi quattro

Disconnesso

disconnessioneNon mi piace fare piazzate in pubblico. E neanche sgridare o sculacciare il gnappo davanti agli altri. Ma non posso neanche dargliele sempre tutte vinte e farmi prendere in giro. Ieri ero con lui e The Second al solito parchetto, in una bellissima giornata primaverile con cielo terso e un bel tepore che ti scalda le ossa.

Il gnappo come al solito faceva i suoi giri sul suo amato monopattino. Adesso va come una scheggia anche se non ha ancora imparato (o meglio, non vuole imparare) l’uso del freno. Per frenare mette giù il piede e via.

Poi si è messo a giocare tranquillo con un amico, a strappare i fili d’erba e a farci una specie di insalata. The Second intanto dormiva nell’ovetto, debitamente oscurato dalla mia giacca appoggiata sopra per non fargli arrivare la luce. Perché se no quello mica si addormenta. Ormai nei suoi confronti sono quasi prevenuto. Per qualsiasi cosa lui piange, si inkazza, urla e strepita finché non è tutto come vuole lui.

A un certo punto il gnappo è una maschera di sangue.

Niente di grave. Il giorno prima era inciampato nel mio piede, andando a sbattere la faccia contro le ruote del passeggino del fratello. Un taglietto sulla guancia e via. Ma ieri ha iniziato a toccarsi la crosta che ovviamente si è rotta e ha ricominciato a sanguinare.

Dopo avergli pulito la faccia con il mio fazzoletto nonostante i suoi strepiti torna a giocare. Ma continua a toccarsi e il sangue non smette di uscire.

Cerco allora di parlargli, lo prendo da parte e provo a metterlo su una panchina per dirgli di non toccarsi la ferita. Ma lui non ascolta. Non riesce a stare fermo ad ascoltare. Volevo solo dirgli, avendo un minimo della sua attenzione, di non toccarsi la faccia. Ma ancora prima che iniziassi a parlare lui parte con una raffica di “no” e tenta di scappare.

Io mi incaponisco. Voglio farmi ascoltare. Solo ascoltare. Avere un secondo di attenzione. Avere davanti un bambino che ascolta una mia frase, poi faccia quello che vuole, ma almeno fammi capire che mi stai ascoltando.

Ma niente, è una battaglia persa. Lui cerca di divincolarsi, vuole tornare a giocare, io mantengo la calma, ma lui è un testone e non mi dà retta. Non mi lascia neanche parlare. Parte preventivamente con una raffica di no urlati. Poi riesce ad andare via dalla panchina. Riprende il monopattino e cerca di fare un giro, sempre mentre sto cercando di parlargli. Vuole scappare e dallo sguardo lo fa anche con una certa soddisfazione, della serie: “Non mi freghi papà, adesso io vado via e non mi prendi più”. E infatti ride, proprio mentre gli sto andando incontro con la vena del collo che mi si sta gonfiando.

Corro verso di lui, lo blocco, lui reagisce dandomi i soliti calci, volano due o tre sculaccioni, pianto disperato, urlata davanti a tutti e subito a casa. Nel mentre si sveglia anche The Second che si rimette a strillare.

La scena dev’essere stata abbastanza pittoresca a vederla da fuori: un papà inkazzato con due nani che piangono disperati in stereo. Non male.

Sulla strada del ritorno, il gnappo si calma e smette di piangere, disconnettendo il cervello (immaginate lo sguardo nel vuoto di un omicida che ha appena commesso un delitto, ha un blackout mentale, non si ricorda cosa è successo prima e dice ipnoticamente: “No, non l’ho ucciso io, non sono stato io…”) provo a spiegargli a mente fredda quanto è successo.

“Perché il papà si è arrabbiato?”. E lui indica la ferita. “No tato, non è per quello, ma è perché non mi ascolti…”. Faccio la prova del nove. “Quindi, perché mi sono arrabbiato?”. Niente, lo sguardo è sempre perso nel vuoto. Mi arrendo. Il gnappo non vuole ascoltare. Mentre tu cerchi di dirgli qualcosa stacca il cervello preventivamente. Ogni tanto lo faccio anch’io, quindi anche qui la paternità è certa. E’ un nostro grosso, comune limite.

Disconnettere il cervello quando uno parla. Non ascoltare. Non riuscire ad ascoltare o non volere ascoltare. E la comunicazione diventa difficile. Anzi, quasi impossibile. Un po’ per indole e un po’ per cocciutaggine. Dobbiamo lavorare sull’ascolto. Sia lui che io.

Di Fede

Blog di un papà imperfetto