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Pensieri di un papà

Diritto al cazzeggio

homer cazzeggioRivendico il mio diritto al cazzeggio. Perché il cazzeggio fa parte della mia vita. O almeno, lo faceva prima che venissi risucchiato in una spirale che mi ha portato a ridurre asintoticamente il tempo per il mio cazzeggio quotidiano.

Quando ho scritto il primo post su questo blog avevo tanto tempo per cazzeggiare. Al lavoro ovviamente, perché se no che gusto c’è a cazzeggiare nel tempo libero? Sarebbe un controsenso… Poi, da circa un anno, più o meno da quanto è nato The Second, il mio cazzeggio è cambiato, si è ridotto gradualmente fino a scomparire.

Adesso, da quando metto il sedere sulla sedia e accendo il pc (come sono demodé a usare ancora un pc, a non avere gli occhialoni grandi e un mac, rigorosamente senza mouse, sulle ginocchia… vabé.) inizio a perdere il controllo del tempo. E mi ritrovo a fine giornata a dover fare ancora 800 cose, a voler tornare a casa e a non aver neanche trovato il tempo per il mio cazzeggio.

Credo che chi passa ogni tanto di qui mi possa capire. Anche perché sono sicuro che è proprio grazie al tempo di cazzeggio che qualcuno sta leggendo quello che scrivo. Se non cazzeggiaste pure voi, non verreste di certo su questo blog. E vi invidio profondamente. Perché anch’io una volta facevo così. Minuti, mezz’ore, ore perse nei meandri del web a leggere altri blog, forum, spulciare Facebook, scoprire tutorial laqualunque, imparare addirittura un mestiere parallelo.

Come ho imparato ad aprire un blog? Cazzeggiando ovviamente! Piccole dosi di cazzeggio quotidiano che poco alla volta ti portano ad avviare nuovi progetti, a fare nuove conoscenze, a scoprire che, mentre tu dovresti lavorare, là fuori c’è un mondo che va avanti e tu, proprio grazie al tuo cazzeggio, puoi evitare di rimanere indietro.

Il cazzeggio dovrebbe entrare nel Jobs Act, altro che contratto a tutele crescenti… Ci vorrebbe un cazzeggio a orari crescenti. Poco quando inizi, perché devi imparare, e poi visto che si presume che il tuo lavoro tu lo sappia fare, sempre più esteso, fino all’età della pensione, quando lavoro e cazzeggio dovrebbero coincidere. “Ciao cara, vado al cazzeggio, torno per cena…”.

Ora non mi sento più padrone del mio tempo. Mi sveglio più o meno sempre allo stesso orario. Porto all’asilo il gnappo (The Second se lo smazza la mamma), vado al lavoro, ci rimango fino a sera, torno a casa, cena, breve dopocena a giocare coi gnappi, poi ancora computer per smaltire cose in arretrato e nanna. “Métro, boulot, dodo“, direbbero i francesi. Routine diremmo noi. Alienazione Michelangelo Antonioni. E così via.

Sta di fatto che scrivere è come fare jogging. Meno scrivi e più fai fatica quando riprendi. Come se ti venisse l’acido lattico nelle dita. Come se tradurre i tuoi pensieri in lettere e parole fosse diventata l’attività più difficile del mondo. Mi capita sempre quando non riesco a trovare più il tempo per scrivere come vorrei.

So già l’obiezione. “Ma per scrivere due cagate, come fai di solito, possibile che tu non trovi 5 minuti in tutta la tua giornata?”. No. Non li trovo. O anche se li trovassi vengono impiegati in altro. Perché, comunque, anche a scrivere due cagate ci si mette tempo. E soprattutto bisogna avere l’ispirazione. Un po’ come andare in bagno perlappunto. Devi trovare lo stimolo. Senza stimolo ti siedi, ma non fai un bel niente. Oppure, quando lo stimolo ti viene e sul più bello c’è qualcuno che ti chiama, ti telefona, ti chiede qualcosa, a quel punto lo stimolo ti passa e se ne riparla in un altro momento.

Io devo trovare un modo per riuscire a gestire meglio il mio tempo: lavoro, casa, famiglia, cazzeggio, amici. La voce “me stesso” è stata eliminata anche se, a pensarci bene, potrebbe essere inclusa in ognuna delle voci precedenti. Almeno in maniera latente.

Mi hanno consigliato un libro per riuscire a organizzarsi meglio con le migliaia di cose da fare. “Detto, fatto! L’arte di fare bene le cose” è un piccolo manuale per riuscire a imparare l’arte dell’efficienza (al lavoro e non solo). L’ho comprato su Amazon e l’ho fatto subito leggere ad Anna (perché anche lei mica scherza con le migliaia di cose da fare). Poi me lo sono messo sul comodino. Ma figurati se sono riuscito a trovare il tempo per leggerlo… Ecco, appunto. Ho iniziato i primi due capitoli e ora sono fermo lì, perché non trovo il tempo. Patologicamente recidivo.

Mi sento a un bivo (ma anche a un trivio o un quadrivio). Chiudere la baracca o lasciarla andare alla deriva. Continuare a scrivere cercando di ritrovare in qualche modo “l’ispirazione”. Trovare il tempo. Ma forse questa è tutta una scusa. Chi dice “Non ho tempo” è solo perché non ha voglia o non vuole fare le cose. Perché in qualche modo il tempo si trova. Una mezz’ora da qualche parte salta fuori.

Prima forse pensavo di più ai gnappi. Pensavo di più a fare il papà. Mi interessavo di più di gravidanza, famiglia, figli & co. Quando c’è la novità è sempre facile trovare cose da dire. Voler raccontare le proprie emozioni. “E’ facile fondare una missione, il difficile è poi mantenerla viva”, mi aveva detto anni fa un volontario in Mato Grosso. E credo che avesse ragione e che questo valga un po’ per tutte le fasi importanti della vita.

Quando si avverte lo stallo bisognerebbe trovare il modo per evolvere. Bisognerebbe trovare lo spunto giusto. Poi, il tempo, in qualche modo potrebbe saltare fuori. Ecco, devo capire se in effetti è un problema di tempo, di voglia, di spunti o di ispirazione. Forse tutte le cose insieme. forse dovrei svegliarmi ancora prima alla mattina, guardarmi di più intorno, stupirmi di più e se questo non bastasse, prendere anche un po’ di Guttalax.

Di Fede

Blog di un papà imperfetto