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Pensieri di un papà

Al pronto soccorso dove chi sta male guarisce da solo

col gnappo al pronto soccorso (3)Ore 19.30. Stavo tornando a casa in scooter. Squilla il cell. Da buon milanese imbruttito me lo infilo sotto il casco e rispondo ad Anna. Il tono è preoccupato. Mi chiama addirittura per nome. Il gnappo è caduto in monopattino tornando dal parchetto e ha preso una botta molto forte in testa contro l’asfalto. Si sta addormentando e non riesce più a camminare.

Ok, portiamolo al pronto soccorso. Per fortuna ero vicino a casa.

Noi non pensiamo di essere genitori troppo apprensivi. L’ultima volta che abbiamo portato il gnappo al pronto soccorso è stato più tre anni fa, quando aveva una febbre oltre i 40 che non voleva passare. Quindi la scelta è stata meditata. Anche perché, tutti ti dicono di portare i bambini al pronto soccorso se prendono una botta in testa forte e che non si devono addormentare. Te lo dicono in tutte le salse anche ai corsi di primo soccorso all’asilo.

Andiamo all’accettazione dell’ospedale dei bambini di Milano. Quello dove è nato The Second e dove ci siamo sempre trovati bene le poche volte (per fortuna) che ci hanno visto.

Ore 19.50. Prima visita al triage. Triage è una di quelle parole che metto insieme a menarca, gres, capoparto, coprocoltura, coibentato, areola. Una parola che non si usa mai, se non in determinati ambienti. Mi fa venire in mente la Santissima Trinità. Perché solo quella puoi invocare quando hai qualcosa di grave e devi passare dal triage. Il Santissimo Triage. Chissà se esiste anche il biage o il quadriage. In francese suona anche bene, sembra una cosa figa.

Il medico (era una donna, si dice medica adesso? Come sindaca? Oh, ditemi voi…) che lo visita ci fa le solite domande di rito: “Ha pianto dopo la caduta?”, “Ha perso conoscenza?”, “Ha vomitato?”.

No, per fortuna, però ha un gran sonno, si sta addormentando in piedi e non riesce a camminare.

Codice verde

Il codice verde è quel codice che al pronto soccorso ti danno sempre. A meno che tu non abbia le tue viscere di fuori o non ti abbiano reciso la giugulare. Il codice verde è quel codice che se capiti al pronto soccorso in un orario sbagliato sai che puoi anche prendere un aereo a/r, andare all’Ikea, svuotare gli armadi, sistemare la cantina o fare qualsiasi altra cosa che richieda tempo. Poi, quando hai finito, puoi tornare al pronto soccorso, tanto il tuo numero non sarà ancora stato chiamato.

Il codice verde viene dopo il codice giallo e prima del bianco. Quelli in codice bianco spesso stanno aspettando dalla settimana prima. I codici bianchi sono quelle persone che vivono nelle sale d’attesa degli ospedali. Conosco una famiglia che dopo un codice bianco ha spostato la residenza al pronto soccorso. E’ venuto anche l’impiegato del comune a verificare. Tutto regolare. Risiedevano lì.

Ore 20. Dobbiamo decidere come impostare la serata al pronto soccorso. Mando Anna con The Second a casa. E io sto col gnappo. Prima gliel’ho anche chiesto: “Vuoi che resti il papà o la mamma?”. “Il papà”, mi ha risposto. Tiè, 1 a 0 per me. Un po’ ho gongolato. Perché per una volta anch’io mi sono sentito importante. Ho capito che nel momento del bisogno anch’io posso tornare utile ed essere una presenza rassicurante per il gnappo.

Perché col cazzo che il papà e la mamma suono uguali e intercambiabili. Il gnappo voleva che restassi io con lui dolorante al pronto soccorso. Poteva anche starci la mamma, certo. Ma non sarebbe stata la stessa cosa per lui. Così come non lo sarebbe stato per me se fossi stato al suo posto.

Ore 20.10. Cacchio facciamo adesso? Davanti abbiamo 15 persone tra codici gialli e verdi arrivati prima di noi. E non abbiamo ancora cenato. Mi sono fatto lasciare il passeggino di The Second così il gnappo poteva stare comodo. In tempo zero si è addormentato. Il medico mi aveva detto che poteva dormire, però ogni tanto andava svegliato. L’importante era che non si addormentasse senza possibilità di svegliarsi. incrociamo le dita.

Col gnappo dormiente vado all’Esselunga a comprare un po’ di cibo di emergenza. Una focaccia, una pizza, due bottigliette d’acqua e un gioco per lui. Gli ho preso uno sbirro della Playmobil in tenuta antisommossa con tanto di manganello, pistola e cane al guinzaglio. Non che mi piacesse, ma era quello che costava meno tra tutti i giochi. Il “Playmobil celerino”. Un mix tra macellaio messicano della scuola Diaz del G8 e forze speciali dell’antiterrorismo. Il gnappo l’ha scambiato per Dart Fener quando l’ha visto. Non so se era per la botta in testa o per altro, ma meglio così.col gnappo al pronto soccorso (2)

Avanti-indietro

Quando lascio una fila d’attesa per farmi i fatti miei mi viene l’ansia. Perché non sai mai se per caso la fila si smaltisce velocemente e quindi chiamano te e tu non ci sei. Così devi rifare la fila daccapo.

Infatti quando siamo tornati in sala d’attesa mi è venuto un colpo quando nella schermata vedo in cima un codice verde successivo al mio e sotto altri quattro codici bianchi. Vado subito dal medico dell’accettazione e mi giustifico: “Scusi, siamo andati un attimo a fare la spesa perché non abbiamo cenato, mi sa che hanno già chiamato il nostro numero…”.

La tizia in camice bianco, impassibile, guarda il mio numero sul biglietto. Guarda lo schermo e dice: “Stia tranquillo, ha davanti ancora tutte quelle persone”.

La schermata che avevo visto io infatti era la “seconda pagina” dello schermo che si alterna alla prima. Come il Televideo. Non avevo ancora capito come funzionasse quel totem a cristalli liquidi che avrò guardato ossessivamente e compulsivamente per migliaia di volte ieri sera. Questo schermo che metterà uno stop inesorabile alle prossime ore della tua vita.

Il gnappo continua a dormire e io, nell’attesa leggo nell’ordine: tutta la app di Repubblica così ora so tutto sulla Brexit. Tutto Tgcom24, tutta Ansa e tutto Il Post con l’articolo su come andare a vedere la passerella di Christo senza fare la coda.

Nel mentre faccio avanti-indietro dalla sala d’attesa per vedere se sta cacchio di lista scorre. Niente. Immobile. Ferma. Come se fosse guasta. Ho sempre davanti un botto di persone. Alcuni lampeggiano come “riattesa”. Altri invece sono codici gialli nuovi. Pazienza, ci vuole pazienza. Bisogna spettare e basta.

Sveglio il gnappo dal suo sonno per sicurezza. Lui si mette a piangere. Ecco, forse era meglio lasciarlo dormire. Poi si riaddormenta. Comunque, mi rendo conto che è svegliabile. Non ha ancora vomitato, quindi ok.

Per fortuna che è estate. Così almeno siamo stati sempre fuori dalla sala d’attesa. Perché lì il girone è infernale purtroppo. Bivacco generale dopo una certa ora. Tutti snervati dall’attesa estenuante. Tutti sulla stessa barca. Perché anche la malattia è come una livella. Stranieri e italiani, benestanti e poveri. I ricchi no, non ci sono al pronto soccorso. Perché se sei ricco fai venire il pediatra a casa oppure conosci il primario e passi avanti.

Come hanno fatto quelli scesi dal suv bianco. Che sono arrivati nel posto delle ambulanze, sono scesi con una bambina in braccio. Sono passati davanti a tutti e poi sono usciti dopo una mezzora, dal cancello automatico dell’ospedale che si è aperto magicamente. Misteri degli ammanicamenti ospedalieri. Perché la sanità in Italia funziona così. Se sei ammanicato te ne fotti della lista d’attesa.

col gnappo al pronto soccorso (1)Ormai la sala è diventata una grande famiglia. Come quella dei rom che sono lì da prima di noi e che hanno occupato mezza stanza sdraiati sui divani. Per una bimba piccola da curare c’erano la mamma poco più che adolescente, il papà, due fratelli più giovani e la nonna. Tutti in ciabatte. La nonna nella zona della ambulanze dove stavo io col gnappo (perché dopo una certa ora fuori faceva freddo e io non avevo da coprirlo) si sarà fumata 20 sigarette imprecando – giustamente – contro l’ospedale: “Ma non è possibile. Ma questo ospedale. Ma che cavolo”. Ah, signora mia…

In tanti imprecavano. C’era chi voleva fare del casino, chi ha detto che l’unico modo era “mettergli un candelotto nel c…” (giuro, l’ho sentito anche questa) e poi chissà quante ne hanno dette gli altri che erano lì in lingue a me incomprensibili.

Tanta solidarietà a chi fa l’accettazione del pronto soccorso, però, minchia, con una media di un paziente all’ora come si fa? Per curare dei bambini poi che dovrebbero aspettare il meno possibile.

Ore 00.00. Un nuovo giorno è arrivato e noi siamo ancora lì. Abbiamo davanti ancora 8 codici verdi. Intanto molti desistono. C’è chi va in altri ospedali, c’è chi accende un cero al Ss Triage, c’è chi va a casa, c’è chi guarisce da solo. Perché è talmente tanta l’attesa che anche se uno sta male fa in tempo a guarire. Si autorigenera come il fegato. Anche perché alternative non ne hai. O stai per morire (e si spera di no) oppure quelli mica ti visitano.

Mi messaggio con Anna per valutare quale decisione prendere. Lei dice di venire a casa. Io le dico di dormire che aspetto ancora un po’, ma lei dice che non ci riesce sapendoci al pronto soccorso. Cuore di madre.col gnappo al pronto soccorso (4)

Ore 01.05. Abbiamo ancora 8 persone davanti. Se va bene, facendo un rapido calcolo, ci visitano alle 4 di notte. Prendo una decisione. Fanculo al triage, stanotte sveglieremo il gnappo per vedere se è vivo e accendiamo un cero, sperando sia solo una gran botta in testa e non ci siano complicazioni. Lo teniamo a casa dall’asilo e lo monitoriamo. Niente monopattino e la prossima volta gli mettiamo il casco. Mortacci nostri.

Ore 07.00. Il gnappo si sveglia. Sta bene. E’ felice perché non va all’asilo e sta a casa con la mamma. Io barcollo perché alla fine mi sarò addormentato alle 2 di notte passate. Ennesima giornata da zombie, ma vabé. L’importante è che lui stia bene. Il resto conta poco.

Penso a chi sarà rimasto là tutta la notte. Penso anche a chi magari porta il figlio al pronto soccorso per una febbre, quando basta dargli la tachipirina o chiamare il pediatra il giorno dopo, intasando la lista d’attesa. Penso a chi invece sta davvero male e magari è comunque in codice verde. Penso ai bambini soprattutto, ma anche ai genitori che sono con loro in queste attese che non sembrano finire mai.

Ore 09.45. Mi scrive Anna. Sua mamma è arrabbiata perché non ci siamo fermati al pronto soccorso. Le rispondo che la prossima volta la chiamiamo e ci sta lei ad aspettare. Sono lontani da noi 250 chilometri, ma tanto facevano in tempo. Anche se fossero stati all’altro capo del mondo. Noi tanto aspettavamo lì.

Di Fede

Blog di un papà imperfetto