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Pensieri di un papà

Tre anni di The Second

Caro il mio balosso,

oggi tu compi tre anni. Mi ricordo molto bene quella notte in ospedale. Tu che non ne volevi sapere di uscire. Il parto indotto. Tutto il travaglio dall’inizio alla fine. E poi il cesareo, giusto per non farsi mancare nulla.

Io già da lì ti ho inquadrato sai? Già ho capito di che pasta eri fatto. Una bella pasta, non c’è che dire.

Sai che sono stato io (dopo le ostetriche) il primo a prenderti in braccio? Ti ho fatto subito un bel discorsetto che, mi sembra, non sia servito a molto.

Di questi tuoi tre anni i primi sei (o forse nove?) sono stati di pianto ininterrotto. Solo la mamma riusciva a calmarti (e neanche sempre). Poi sono arrivati altri due anni e mezzo di balossate.

All’inizio mi hai mandato in paranoia, devo ammetterlo. Non ero pronto a un bel tipetto come te. Tuo fratello aveva i suoi difetti (tipo quello di non lasciarci dormire per i suoi primi due anni e mezzo), ma in qualche modo riuscivi sempre a girargliela via.

A te invece non la si fa. A te non sfugge un cazzo. Tu sei sempre sul pezzo. Tosto, sguardo vigile, anche di prima mattina. La sera invece, per abbatterti, non bastano le cannonate. Tu ci giochi a basket con le palle di cannone.

Piano piano abbiamo iniziato a conoscerci. A tollerarci. A capire che tanto la mamma è un’esclusiva tua e che io le evo girare al largo. Tutti le devono girare al largo, gnappo compreso. Te pòssino…

Poi abbiamo iniziato a giocare. A divertirci anche. A provare ad essere quasi padre e figlio. A capire i ruoli e a comprendere le tue manie di distruzione nei confronti del sottoscritto. Ne sono felice. Se vuoi fare male al papà è tutto normale. Per adesso eh, poi fai il piacere di superarla questa fase edipica accentuata e a godermi un po’ di più senza attentare ogni volta alla mia salute, thanks.

Tu mi fai molto ridere. Sei un ex fagotto che sta crescendo poco alla volta. Non posso dire a vista d’occhio perché sei un nanetto che non vuole crescere tanto. Se mangiassi un po’ ogni tanto, invece che cazzeggiare a tavola e scendere subito a giocare. All’inizio mi sembrava una sconfitta, poi ci ho fatto l’abitudine. Fai un po’ quel che vuoi, se non vuoi mangiare amen.

Adesso ti abbiamo mollato dai nonni per una settimana. Sai  che tuo fratello ieri sera ha pianto perché gli mancavi? Ma sai anche che i nonni ti coccolano, ti tengono a casa dall’asilo per farti passare la tosse e il catarro. Insomma, tu mica fai storie, lo sai di essere in vacanza anticipata. Tsé.

Quello sensibile è tuo fratello, che senza di te si sente quasi perso. Tu invece te la sai sempre cavare. Sei veramente forte.

Ancora non ho capito quali sono i tuoi punti deboli. Anche tu li avrai, come tutti. Solo che ancora non li ho trovati. Forse il tuo punto debole sono io che ancora non ho capito bene come prenderti. Ma magari tu di punti deboli non ne hai e stop. Sei come il tuo bisnonno, che come gli gira gli gira bene.

Sei un papero bellissimo. E io ti voglio bene, a modo mio. E ti auguro di rimanere sempre così cazzuto. Che tu matto non ci diventi, al massimo gli altri che ti sono vicini. Ma saranno un po’ fatti loro, o no?

Io ci sono e ci sarò. Per prenderti in braccio, come la prima volta. Per parlarti, come fuori dalla sala parto. Per starti vicino anche se mai ci prenderemo a pesci in faccia.

Siamo tanto diversi. Ma la diversità è ricchezza. Almeno così dicono…

Tanti auguri balosasso. Tremila di questi tre anni. E quando sarai diventato imperatore del mondo, ricordati anche del tuo papà. Che di certo non ti ha reso la vita sempre facile, come tu avresti voluto. Ma è coi no che si cresce (sempre così dicono…). Se no che gusto c’è?

Di Fede

Blog di un papà imperfetto