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Io lei e l'altro

Di cacca, pappa, orari e risvegli

child against racism #somostodosmacacos
Anche il gnappo manifesta contro il razzismo, come Dani Alves. #somostodosmacacos

Non mi sembra quasi vero che il gnappo stia pian piano arrivando alla boa dei due anni e mezzo. Ne parlavamo ieri con Anna. E’ quasi un adolescente. Ha le sue idee, le sue espressioni buffissime, le sue paraculate quando prima ti fa arrabbiare e poi ti elargisce grandi sorrisoni e bacini. Si fa le sue sclerate quando non vuole fare qualcosa che va fatto, urlando come un matto, mentre in atri momenti è tenerissimo. Come quando mi chiama con la sua vocina: “Papaaaà”, oppure, più divertente ancora: “Papooo”. Chissà chi gliel’ha insegnato a chiamarmi papo…

Di notte si sveglia ancora dalle due alle tre volte. La prima di solito intorno all’una, quando non sono ancora entrato nel mio sonno pieno. Ormai ci ho fatto l’abitudine. Non mi pesa neanche più (sigh). Vado dal piangente, di solito scattando giù dalla branda come una recluta al grido del suo sergente-istruttore, e cerco di consolarlo. Lo accarezzo per calmarlo. Se non riesco al primo colpo gli chiedo: “Vuoi l’acqua?”. E il più delle volte lui risponde con la sua vocina assonnata: “Tiiiì”.

Ma non sempre l’acqua basta. E in quei casi non sapevo come farlo smettere di piangere. Allora, l’altra sera mi è venuta l’intuizione di provare con un’altra domanda, Così gli ho chiesto: “Vuoi un bacino?”. E lui: “Tiiiiì”. E dopo il bacino si calma e si rimette coricato a dormire. Forse avrei potuto chiedergli qualsiasi cosa tipo: “Vuoi uno spritz?” “Vuoi che il papà balli la samba su un piede solo?”, “Vuoi fare con me la denuncia dei redditi?”, “Vuoi che venga a cantarti la ninna nanna Genny ‘a carogna?”. Forse la risposta sarebbe stata sempre sì.

C’è poi il momento cacca. E lì, non per vantarmi, ma sono un vero maestro. Lo mettiamo sul vasino, quando, dal suo meteorismo avanzante, intuiamo che ci siano gli estremi per una seduta. La prova del nove è la fatidica domanda: “Ti scappa la cacca?” alla quale lui però risponde sempre di sì, anche se non gli scappa. Quindi prova inutile. Però tentar non nuoce e così ci mettiamo con lui in bagno, mettendolo sul vasino.

Ma mica è immediata la cosa. Ci vuole pazienza. Che, stranamente, in questo caso ad Anna manca (boh, sarà perché lei è una Speedy Gonzales della tazza…). Io invece probabilmente gli do gli stimoli giusti. E so’ soddisfazioni: faccio cagare e ne vado fiero! Mah…

“Spingi”, gli dico rassicurandolo. E dopo una pipì istantanea ecco che arriva il suo sorriso da sforzo. Quello che abbiamo tutti quando andiamo in bagno durante la “fase espulsiva” se è un po’ duretta. Puntualmente lui la fa. E subito dopo si alza e se la guarda contento. Non vi dico la mia gioia. Faccio la hola, come se l’Italia avesse vinto la coppa del mondo, pensando al giorno in cui decideremo di togliergli il pannolino (aspettiamo l’estate va…).

Sulla pappa invece dobbiamo ancora lavorarci. Nonostante la merenda di metà pomeriggio, lui alle sei di sera inizia la sua richiesta di cibo. “Giaggio”, dice indicando il frigo. Il gnappo è uno sbafatore di formaggio (talis pater). Vuole l’aperitivo insomma, perché prima delle 7-7.30 non è pronto. Così a volte capita che lui si rimpinzi di formaggio, sottilette, pane o grissini e poi a cena arrivi senza più fame.

La colpa è nostra che dobbiamo ancora fasarci sugli orari. Il problema però è quando Anna è a casa da sola e deve cucinare. Lui vorrebbe che lei lo cagasse, mentre invece è impegnata ai fornelli (non che sia Vissani, ma un minino di tempo le serve comunque). E lui sclera. Ha fame e vuole attenzioni. E così a cena arriva con le balle girate. Se ci sono io in casa invece va meglio. Di solito ci guardiamo un cartone mentre lei prepara. Ma lo sclero, anche con me, è dietro l’angolo e va trattato con le pinze perché se no tutti gli sforzi per cucinare qualcosa che gli piaccia vanno a farsi benedire.

E’ un viziato quello là. Sti scleri prima di cena andrebbero evitati. Forse lui sente che per noi è un momento importante e ci mette del suo per richiamare la nostra attenzione. Di solito facciamo così: se proprio a cena non vuole mangiare, dopo alcuni tentativi, non insistiamo più di tanto. Niente cena. Se ne riparla il mattino dopo. Ai tempi dei miei nonni l’andare a letto senza cena era una punizione, adesso è un capriccio. Per dire.

Poi puntuale, tra le 9 e le 9.30, arriva la telefonata di mia mamma che chiede: “Ha mangiato stasera?”. E quando la risposta è no lei non si capacita. “Ma come, e fategli qualcosa che gli piace no?!”. Le cose che gli piacciono in tavola ci sono, peccato che lui non le abbia mangiate. Ma tu faglielo capire.

Di Fede

Blog di un papà imperfetto