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Pensieri di un papà

Compagni di scuola

compagni_di_scuolaNon mi viene nulla da scrivere. Capita. Tutto tranquillo, niente da dichiarare. Senonché, complice Facebook e un’ex compagna di classe che ha postato le foto di un vecchio quaderno delle citazioni, abbiamo ripreso i contatti tra vecchi amici e forse, prima di Natale, ci ritroveremo per una “cena di classe”.

Esattamente un mese fa si è sposata una delle mie migliori amiche. L’avevo raccontato qui. Non so perché, ma, mentre scrivevo, il post prese tutt’altra piega rispetto alla “cronaca” della giornata. Mi ero lasciato trasportare dai ricordi. Così avevo tenuto il post in bozza, pensando che prima o poi l’avrei ripubblicato. Ora, visto che è stato esattamente un mese fa e che in questi giorni non mi viene in mente niente da raccontare, direi che è il momento giusto. Parto parlando della mia esperienza alle superiori… 

Io quei cinque anni me li sono proprio goduti. E con i miei amici, quelli più stretti, tre ragazze e due ragazzi, ne abbiamo combinate tante. Quelle più eclatanti che ti ricordi volentieri sono legate a particolari momenti della tua vita. O ad occasioni speciali, tipo gite, settimane bianche, vacanze, compiti in classe, scene varie. Ogni volta che ci troviamo (troppo poche per la verità visto che abitiamo tutti in città diverse) scatta il momento revival. Iniziamo con il “vi ricordate quella volta che…”. E da lì, un racconto tira l’altro. Ce li saremo ri-raccontati decine e decine di volte, ogni volta che ci troviamo insieme. Per la classica “serata-tisana” dopo l’abbuffata natalizia, quando tutti torniamo a casa dai parenti, oppure per una pizza, quando l’organizzatrice del gruppo ci riunisce perché è da tanto che non ci si vede (la media è sei mesi più o meno). Tutti abbiamo voglia di vederci, ma lasciamo decidere a lei il dove, il come e il quando. Ci dev’essere sempre un ragionier Filini della situazione in ogni compagnia.

E così ci siamo trovati, ancora una volta. Per il terzo matrimonio. Dopo il mio, quello di Manuele e ora quello di Elisabetta. Forse il prossimo sarà quello di Carlotta, che ha già chiesto il trasferimento al lavoro per andare a vivere con il suo nuovo fidanzato a Trieste. Vedremo. E ancora una volta, tutti al tavolo insieme, tra una chiacchiera e l’altra abbiamo ricordato i bei tempi che furono. Quelli in cui avevi altri pensieri, altri problemi. Allora il problema erano i compiti in classe e le tipe con cui provarci. Anche il modo in cui vestirti, che stile avere, era un problema. Il problema era andare alla festa degli studenti in discoteca, perché i miei non mi lasciavano andare fino ai 17 anni compiuti.

Il dramma era quando Marco aveva limonato di soppiatto una mia fiamma dell’epoca. Praticamente lei doveva venire con me, in settimana bianca. L’ultima sera ovviamente, un classicone. Ma io avevo avuto la febbre i giorni prima e mi ero tenuto in piedi a botte di Aulin. L’ultima sera, mi sono buttato sul letto e sono crollato. Mi sono svegliato solo la mattina dopo, quando i legittimi occupanti del letto mi hanno spostato. E lì ho realizzato che l’appuntamento galante tanto sperato era andato a farsi benedire. Chi dorme…

Tornai comunque all’attacco, durante un’altra settimana bianca, questa volta senza professori visto che avevamo 18 anni, a Capodanno. Alle 8 di sera del 31 dicembre 1999 mi scolai un bicchiere da tavola con grappa alla fragola quasi alla goccia. Alle 11 il mio panorama era la tazza del cesso. Altro che Pepepepepepe, A E I O U Y, eee meu amico Charly, ollellè, ollallà.

Steso, kaputt. Ho avuto la nausea per due giorni. E visto che il “gatto” aveva dato forfait, i “topi”, anche quella sera ballarono. Il succhiotto sul collo di Marco fu inequivocabile. Aveva ghermito per la seconda volta la mia potenziale preda. La stessa della volta prima. Lei poi, finite le vacanze si scusò, mi mandò lettere strazianti (“Scusa, sono stata una stronza, non volevo andare con lui… io amo te…”). Certo certo.

Passata l’arrabbiatura (e le settimane bianche) l’andai a trovare. E scattò finalmente il limone. Il mio limone sulla panchina davanti a casa sua. Fu bellissimo. Salvai capra e cavoli. L’amicizia (visto che non portai rancore a Marco) e un limone con Manuela: solo quello, visto che lei mi amava talmente tanto che poi andò tranquillamente con degli altri. Ora è mamma di due bambini. Non la vedo da 15 anni.

Gli amori, le cotte, i motorini truccati, le studiate dell’ultimo minuto, le feste da organizzare, le spettegolate da diffondere o da smentire. Era un vero microcosmo quello del liceo. Erano gli anni ’90 e non avevamo neanche i cellulari (avrei preso in prestito quello di mio papà solo il sabato pomeriggio nel 97). Non c’era Facebook, non c’era internet (no bè, quello c’era, ma andava a carbonella e io la prima volta l’ho usato nella biblioteca della scuola perché a casa non ce l’avevo). Però in qualche modo si cuccava, ci si trovava, ci si divertiva. Meno online e più dal vivo. E non per fare il vecchio saggio della cippa, ma secondo me era meglio così. Almeno credo, i ricordi a volte tendono a modificare la realtà delle cose.

C’erano loro, i miei amici. Erano loro la mia famiglia fuori di casa. Quelli con cui ti confidi, diverti, fai squadra, copi durante i compiti in classe o ti fai suggerire durante le interrogazioni. Quelli che poi, anche se finita la maturità perdi di vista, rimangono comunque una parte importantissima della tua vita. Tra gli affetti più cari. Gli amici sono dei veri tesori. E lo capisci quando li ritrovi dopo mesi, senza neanche un messaggio o una telefonata, e sembra che il tempo non sia passato. E’ come se li avessi visti ieri, l’intesa c’è sempre.

E così ne abbiamo sposata un’altra. Ed è giusto così. Ed è bello così. Lo dico perché ci sono già passato e sono per ora l’unico del gruppo ad essermi riprodotto e ad aver procreato un gnappo. Non per merito mio, ma perché la vita è così. Ti dà e ti toglie, quando meno te l’aspetti. E a me ha dato tanto, cose che mai mi sarei aspettato, in tempi che mai avrei immaginato.