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Pensieri di un papà

Diciotto mesi = un anno e mezzo

Il gnappo ha compiuto 18 mesi. Tra altri 18 ne avrà 36 e potrà giocare con tutti i giocattoli.

Anche quelli che sulle istruzioni hanno scritto: “Non adatto ai bambini di età inferiore ai 36 mesi”. (A dir la verità con alcuni ci gioca già, ma non diciamolo in giro…).

Un anno e mezzo di gnappo, in olio d’oliva.

Un barattolo che gira per casa, inizia a fare capricci, ha le sue belle abitudini, ci sveglia ancora (più volte) la notte, si ammala (a proposito, sono quasi tre settimane che non ha la febbre, strano!) e ci fa tanto divertire.

E inkazzare pure, più o meno una volta al giorno.

Più di me ci litiga Anna la sera, quando gli dà la pappa. Perché lui fa il coglione. Inizia bene e finisce male. Più o meno da quando lui si spazientisce e prova a lanciare giù il piatto dal seggiolone. Anna si arrabbia, lo sgrida e lui si fa il suo mezzo piantino, neanche tanto convinto.

Poi torno a casa io dal lavoro, con una gran voglia di rivederlo. E mi trovo i musi lunghi. Anzi, solo uno, quello di Anna, perché lui, dopo la cazziata, non ce l’ha più neanche in nota. Io entro e mi spara subito un sorrisone a sei denti.

Così lo tormento un po’ e lui si fa delle grasse risatone. “L’ho appena sgridato”, dice Anna. Eccallà. E lui, nel mentre, è lì che mi fa le feste, con uno sguardo che dice: “Ma cosa vuole quella là?! Ma è sclerata, fammi giocare tu!”. L’infingardo.

Il gnappo si fa sempre più ruffiano.

Non so mica da dove è spuntato quello lì. Con un caratterino così. Simpatico, testardo, impaziente, e paraculo. Molto paraculo. La paraculaggine l’ha presa da me. Ma la sua, nel suo piccolo, è a livelli esponenziali. Facendo le dovute proporzioni, se io sono paraculo 10, lui lo è 50. Almeno. Perché è proprio spudorato. Fa quel che non deve e poi ti guarda e sorride: “Bhè? Che cosa ho fatto di male?!”, ti dice con gli occhi.

“Non vorrai mica per caso sgridarmi, guarda come sono bello e bravo?!”. Piccola canaglietta di 18 mesi che capisce tutto, ancora non parla e ogni tanto, quando gli gira dice: “mamma”, ma non troppo convinto.

E fa il paraculo anche all’asilo. Anche le maestre ormai lo conoscono bene e ce lo confermano. Fa il pirla e poi ti guarda con una faccia da prendingiro che la metà basta. E, anche le maestre, che sono lì lì per sgridarlo, si mettono a ridere.

Perché rimanere seri è difficilissimo.

Lui, quando è in buona, ti gira proprio come vuole lui. Con il sorriso e la faccia da furbino impenitente.

Cominciamo bene! E’ un “ingiradore”, come dice mio padre traducendo la parola dal dialetto. L’unica che ancora non l’ha inquadrato è mia mamma. Te pareva. Lei che quando a 14 anni mi beccarono le sigarette nascoste in garage e mi chiese: “Ma tu fumi?”. Io: “Ma vaaa! Sono di un mio amico”. “Ah, ecco, tu infatti non sei il tipo”. Certo.

“E’ piccolo!”, dice sempre lei, scusandolo per ogni cosa. Lei per il suo nipotino stravede. Pende dalle sue labbra dai suoi gesti. E lui non la ricambia. Anzi, con lei fa l’insofferente. L’ingrato. Non la degna neanche di uno sguardo. Mentre invece stravede per il nonno. Oh, che amore! Alla nonna invece neanche un sorriso. Poverina. Appena lei lo prende in braccio lui vuole scendere. Manigoldo.

Oltre che paraculo è anche irascibile.

Appena non riesce a fare una cosa gli girano subito le balle. Gesto di stizza e lancia qualsiasi cosa abbia tra le mani. (Anche per la dose massiccia di pazienza ha preso da me, sembra).

Dalla mamma ha preso qualcosa? Ah sì, oltre che gli occhi la testardaggine. Perché è pure cocciuto. Se vuole una cosa è quella. E l’unico modo per non fargliela ottenere, quando non deve, è far intervenire le forze dell’ordine. Cioè noi. L’autorità auto-costituita.

Adesso di notte si sveglia perché vuole bere.

Piange, si siede sul suo lettino, sputa il ciuccio (che però si tiene prudentemente tra le gambe) e allunga le mani per prendere la sua acqua.

In una notte fa fuori, in due-tre tranche, il suo bicchiere col beccuccio. Poi, quando ha finito di trangugiare l’acqua, ti ridà il bicchiere e si ri-infila il ciuccio in bocca.

Il tutto più o meno nel rincoglionimento da sonno. Suo e mio. E a quel punto gli do una spintarella e lo ributto giù, per farlo coricare sul materasso.

Tutto sto cinema dall’una alle 6 di mattina. E quando si deve svegliare alle 8 per andare all’asilo, ci vogliono le cannonate.

Insomma, un piccoletto tosto. Ma bello e, comunque, tanto simpatico.

“Ma ride sempre così?”, mi ha chiesto l’altro giorno una nonna al parco giochi. Sì, ride. E’ un contentone quello là. “Che sguardo sereno!”, ha detto una volta il prete che l’ha battezzato. E te credo, se non è sereno lui chi dovrebbe esserlo? “Serenità! E’ un bicchiere di vino, con un bambino la serenità!”.

Ah no, non era così. Bhè, più o meno. Buon anno e mezzo piccolo gnappetto, se non ci fossi tu, come faremmo a divertirci? Mah, io qualche idea ce l’avrei… Ma tu sei proprio forte valà. Come direbbe Eros Ramazzotti: grazie di esistere!