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Pensieri di un papà

Il matrimonio della mia migliore amica

matrimonio elisabettaLei è una delle mie migliori amiche. Eravamo in classe insieme alle superiori. E quando passi cinque anni di vita, nella stessa classe, tra i banchi di scuola, ci si conosce davvero bene. Io di quei cinque anni ho sempre nostalgia. Eravamo giovani. Giovani, inesperti ed entusiasti del mondo. Anche se la vita non era molto più facile di adesso e non so se “si potevano mangiare anche le fragole”, come dice Vasco.

E’ la terza di noi che si sposa. Dico “di noi”, perché “noi” siamo “noi”. Gli amici veri, quelli che una volta finita la maturità magari perdi di vista, ma che ritrovi sempre. Li vedi poche volte all’anno, ma quando li rivedi è come se il tempo non fosse passato. Ne abbiamo fatte tante, fuori e dentro la scuola. Nelle cinque ore passate ogni giorno per cinque anni in classe, in gita e in vacanza. Sono parte di te praticamente. Sanno tutto (o quasi) di te e tu sai tutto di loro.

Domenica si è sposata Elisabetta. A parte la pioggia a dirotto (sposa bagnata sposa fortunata? o incazzata?) trovarci è sempre bellissimo. Tutti allo stesso tavolo a raccontarci la carrellata di scene vissute quando eravamo al liceo. Ce le saremmo dette decine e decine di volte. Sempre le stesse. Ma ogni volta ridiamo compiaciuti come se fosse la prima volta. Tirare fuori i ricordi, tra noi, insieme, con ognuno che si ricorda un particolare diverso, ti porta a rivivere quei momenti. Ed è bellissimo, soprattutto per un nostalgico come me.

Anche la Eli è una un po’ nostalgica. E’ lei che mi ha fatto leggere “Il giovane Holden” e da allora io e lei ci chiamiamo “vecchio” e “vecchia”. Per certe cose siamo uguali, per altre diversi. Siamo tutti e due due inguaribili romanticoni. Quelli che si commuovono ancora guardando l’ultima puntata di Happy Days, quando Chucky e Joanie si sposano.

Il suo matrimonio è stato semplice, senza fronzoli. Duecento persone tra amici e parenti, in un agriturismo come location e con una band di sbarbati che ha suonato rock anni ’60 e ’70 a fine cena. Ho provato ad aprire le danze io, un po’ come Pieraccioni ne I Laureati nella scena del ristorante. Qualcuno mi ha seguito, ma per fortuna che ci sono i bambini (non il gnappo però, che ancora una volta abbiamo sbolognato ai nonni). I nani ballano sempre, basta che ci sia musica. E ti tolgono dall’imbarazzo da “pista vuota”.

Palma d’oro a un amico degli sposi che riusciva ad imitare il suono dell’allarme antiaereo. Sembrava una di quelle sirene a manovella. Invece faceva tutto con la voce. Fantastico. Voto zero invece ad altri invitati che pur di non perdersi Juve-Milan si sono messi a fare il gruppo di ascolto davanti ai loro iPad sintonizzati sulla partita. Ad ogni gol esplodeva il boato. Tra l’imbarazzo generale. Cercavo di riequilibrare la situazione urlando “W gli sposi!” (odio quelli che urlano viva gli sposi, o hip hip urrà, ma vista la situazione mi sembrava la cosa meno grave). Tra l’altro, prima della torta, c’erano altri quattro, sempre di quel tavolo, che giocavano a carte a tavola. Voto -2.

Gli sposi però non ci hanno fatto caso, erano talmente conteni, in preda ai baci e abbracci dei tanti invitati, che forse non se ne sono neanche accorti. E poi erano loro amici, quindi probabilmente l’avevano previsto.

E così ne abbiamo sposata un’altra. Ed essere al matrimonio di un’amica vera è sempre un evento. Chi c’è già passato sa cosa vuol dire e può permettersi anche di ridere sotto i baffi. “Mi dà già fastidio la fede”, ha detto lo sposo poco dopo il sì. “Sarà solo una delle tante cose a cui ti dovrai abituare”, gli ho risposto con un sogghigno.