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Noi quattro

Noi quattro

gnappo volpiC’era il sole, ma faceva freddo fuori. Quando esci dai 28 gradi che ci sono dentro a un ospedale te ne accorgi ancora di più. The Second era nato e il mio compito era di andare a prendere il gnappo all’asilo per portarlo a conoscere il suo fratellino nuovo di zecca.

Al mattino lo aveva accompagnato mio suocero. Il parto c’era già stato, ma gli avevo detto di non dirlo alle maestre. Temevo che loro gliel’avrebbero menata tutto il giorno al gnappo, sul fatto che il fratellino era nato. Mi sarebbe dispiaciuto perché non so se Momo avrebbe capito. Sapere che tuo fratello è nato e non poterlo incontrare per tutto il giorno non è bello. Così con le maestre mio suocero ha fatto il vago: “Mah, sì, forse nascerà oggi”.

Pensavo da giorni a questo momento. Il loro incontro. E ogni volta che ci pensavo mi saliva l’emozione. Così quando ho percorso a piedi la strada verso l’asilo pensavo a cosa gli avrei detto nel tragitto, se avrebbe intuito il mio stato d’animo, se avrebbe fatto i capricci per andare al parchetto.

Come sempre ho improvvisato nel dargli la notizia: “E’ nato il tuo fratellino! Lo andiamo a conoscere? C’è anche la mamma!”. Era da un giorno che non vedeva la sua mamma. E forse è anche per questo che mi è venuto dietro senza fare tante storie.

All’inizio ho fatto il vago. Ho ripetuto esattamente i gesti e le domande che gli faccio sempre. “Hai sete? Vuoi la banana?”. E così lui ha bevuto e ha mangiato la sua banana per merenda, per strada. Poi siamo arrivati vicino a casa, ma il percorso non sarebbe finito lì. “Adesso andiamo in ospedale, dove ci sono la mamma e il tuo fratellino che ti vogliono conoscere”.

Non so quante volte gli ho ripetuto questa frase, magari cambiando le parole, come se fossi in loop. Volevo prepararlo bene all’incontro. Spiegargli cos’era successo quella mattina. Che la pancia della mamma non c’era più, perché da quella pancia, finalmente, era uscito il suo fratellino. Gli ho anche detto diverse volte il nome e lui l’ha ripetuto come poteva: “Tatteo”. “Vedrai com’è piccolo Tatteo, mangia sempre e dorme. E la mamma non vede l’ora di vederti”.

Nel sacchetto oltre all’acqua e alla banana avevo un doppio peluche: una volpe grande e una piccola, che avevamo comprato all’Ikea pochi giorni prima. L’idea era venuta a me. “Sarebbe carino se il gnappo gli regalasse la volpe piccola e tenesse per sè quella grande”, avevo detto ad Anna. Ma oltre al peluche lei mi ha mandato a comprargli anche un altro gioco, una moto grande e blu, di quelle che gli piacciono tanto. Sarebbe stato quello il regalo del suo fratellino piccolo.

“Sai che Tatteo ti ha regalato una moto? E’ bellissima, blu e grande”, gli ho detto, forse rovinandogli un po’ la sorpresa.

Sull’ascensore che saliva in reparto eravamo soli, io e lui. Avevo il cuore a mille. Sinceramente non so perché. Ero quasi più emozionato per il loro primo incontro che per la nascita di The Second in sé. Era un momento che mi ero immaginato mille volte e al quale non avrei voluto mancare per tutto l’oro del mondo. Un momento intimo, nostro, di “famiglia”.

Per questo avevamo tassativamente impedito a chiunque di presentarsi alle 16.30 in ospedale. Non volevamo nessuno tra i piedi. Solo noi. Noi quattro e nessun altro. Per i nonni il momento sarebbe arrivato più tardi, dopo aver passato un po’ di tempo noi quattro da soli.

“Vai di qui tato, la stanza è in fondo al corridoio”. Lui si guardava intorno. Aveva la faccia un po’ stranita. Ma non preoccupata. Guardava tutte quelle porte, le infermiere che passavano, i muri di quel posto strano dove tenevano la sua mamma.

Gli ho dato le due volpi in mano, spiegandogli che la piccola era per il fratellino e la grande per lui e l’ho mandato avanti. Volevo immortalare anche con una foto questo momento per farlo restare indelebile, visto che a volte la memoria tira brutti scherzi.

Abbiamo varcato la porta della stanza, mi sono tolto la giacca al volo, quasi meccanicamente. La sua gliel’avevo tolta in ascensore.

“Lui è il tuo fratellino”.

Il gnappo rideva, ma dallo sguardo sembrava quasi assente, come se non capisse chi fosse quel micronano nella culla di metallo e plexiglass. E non posso dargli torto perché anche per me è difficile realizzare quello che era successo poche ore prima, quando quel vecchietto tatrarugoso è uscito da quella pancia con le “cattive”.

Al momento ha fatto lo gnorri. Era quasi intimorito ai piedi della mamma, seduto sul letto. Poi ho preso The Second e gliel’ho messo in braccio. Mi sono inginocchiato sul pavimento per contemplare la scena. Uno rideva, l’altro dormiva. I due fratellini insieme, per la prima volta. La prima, indimenticabile volta.

E poi non ce l’ho fatta. Ancora una volta quelle lacrime non sono riuscire a rimanere al loro posto. Sono scese, a fiumi, sul linoleum dell’ospedale. Ridevo e piangevo. Piangevo e ridevo. Erano bellissimi, tutti e due insieme. Una delle più belle scene che abbia mai visto in vita mia. Ancora più di quando è nato il gnappo. Ancora più di quando è nato The Second. Più o meno lo stesso tipo di emozione, ma al quadrato. Diversa, strana, bellissima.

Poi abbiamo rimesso nella culla il piccolo e Momo è andato ad abbracciare la mamma. Gli abbiamo detto di fare piano che aveva male alla pancia. Figurati. Qualche manata o ginocchiata sul taglio fresco di giornata è volato comunque.

Siamo rimasti così, almeno per un’ora. Noi quattro, con il sole che tramontava e le luci della stanza non ancora accese. Una penombra quasi irreale, prima che tutti i parenti portassero i loro regali e il loro trambusto. Prima che la vita, là fuori, tornasse a scorrere e a correre come fa ogni giorno.

Noi quattro. Loro due. Due volpi e una moto blu sul letto.

 

Di Fede

Blog di un papà imperfetto