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Il Bosco di Fede

“Non riuscivo a educare mia figlia”, l’albero di Marianna

Bosco di Fede

Marianna è una giovane mamma 29enne e fa l’educatrice. Ha accolto la sua bimba con immensa gioia, dopo aver avuto alcune difficoltà in due precedenti gravidanze. Ma come dice il proverbio? “Il calzolaio ha sempre le scarpe rotte…”. E infatti lei paradossalmente, che al lavoro si trova a suo agio a gestire i figli degli altri, ha dei problemi proprio nell’educazione della sua piccola.

Ecco il suo albero nel Bosco di Fede che silenziosamente cresce, poco alla volta, senza fretta. Se volete contribuire a farlo diventare sempre più grande, la terra è qui.

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Io lei e l'altro

Non si danno gli schiaffi! 不要給摑 !

cina schiaffiC’è da dire una cosa. Il gnappo, in quanto a coerenza e a tradizioni, è un vero maestro. Più o meno un anno fa (grazie caro blog che tieni il conto di quanto tempo è passato) era iniziata la fase schiaffi. Mi sono accorto che potrei copiaincollare paro paro tutto il post di allora e ripubblicarlo oggi: perché siamo sempre al punto di partenza. Anzi, forse anche peggio visto che crescendo ed essendo più forte e dinamico il nano adesso, quando ha i suoi scleri, ci fa ancora più male.

Praticamente non gli puoi dire di no o fargli fare una cosa che non vuole. E’ una lotta continua (anche se gli anni 70 sono finiti e la sinistra extraparlamentare è solo un ricordo). Alla fase schiaffi (più che fase ormai siamo nella “routine schiaffi“) adesso si è aggiunta anche la fase testate. Sì perché quel barattolo di due anni e mezzo in olio d’oliva fa di tutto quando è arrabbiato. Pizzichi sul collo, calci, morsi, schiaffi e testate alla Zidane. L’ultima volta eravamo sul lettone: ha caricato come un Capricorno e mi ha dato una capocciata in pieno naso. Non sto a dire il male che ho provato. Da lacrime agli occhi. Quasi da rottura del setto nasale.

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Pensieri di un papà

Le tecniche per non insegnare le parolacce a mio figlio

orcaIo quando parlo dico le parolacce. Non tantissime, ma quando le dico non ci penso neanche più ormai. Mi scappano e basta. Ogni tanto un “figa”, da milanese acquisito e imbruttito, ogni tanto mi scappa. Ma capita di citare anche la controparte maschile spesso e volentieri. Compresi tutti i suoi composti: incazzato, scazzato, cazzarola, eccheccazzo…

Mi ricordo che da bambino, quando mi andavo a confessare dopo aver fatto la prima comunione, i primi due peccati che tiravo fuori erano due: “Ho disobbedito al papà e alla mamma e ho detto delle parolacce”. Le parolacce erano al secondo posto. Adesso il primo si è trasformato in “ho trattato male i miei genitori”, mentre il secondo non lo confesso neanche più.

Insomma, le parolacce scappano, diventano un modo di parlare e a volte anche di scrivere. Chi ci fa più caso ormai, i problemi della vita sono altri… E poi mica lavoro in un asilo di suore. Eddai su, chi non dice le parolacce al giorno d’oggi? Anche in tv sono state sdoganate da un bel po’.

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Io lei e l'altro

La “fase schiaffi”, speriamo passi presto

bud spencer schiaffiE’ un po’ che non parlo del gnappetto. Quello là sta crescendo in men che non si dica e quando guardo le foto di un anno fa mi chiedo come abbia fatto in così poco tempo a cambiare così tanto. Quello lì è un bel tipetto. Eh sì, c’ha le sue idee. A un anno e mezzo. Ieri una nonna perfetta (oltre le “mamme perfette”, esistono anche le “nonne perfette” e sono ancora più temibili delle figlie perfette) al parchetto mi ha detto: “Uh che bello, quanto ha? Un anno?”. Volevo sprofondare.

Ma a parte le dimensioni ridotte, i capelli che sono più o meno ancora quelli di un neonato, i denti che si sono fermati a sei (quattro sopra e due sotto) e l’afasìa (a un anno e mezzo neanche dice mamma, se non a caso, quando capita) è un bel fagotto. Un barattolo, come lo chiamano all’asilo, dove adesso che c’è caldo lo lasciano col body smanicato e i pantaloni ascellari alla Fantozzi. E’ un bel tomino quello lì. Mangia un po’ di più dei mesi scorsi, ma non è un mangione. Più che altro è un beone: beve giorno e notte dalla sua bottiglietta, che in due minuti riesce a far fuori, sempre che l’acqua non gli vada di traverso. Il sonno è sempre un miraggio. Si sveglia ancora, di media, se va bene, un paio di volte. Se va male, molte di più. Con una, stappiamo lo champagne.

All’asilo è il cocco. E’ il preferito di ben due maestre che vengono cazziate dalla terza perché spudoratamente stravedono per lui. Adesso quando lo accompagniamo la mattina e lo lasciamo nelle mani della maestra, piange. Di default. Prima non lo faceva. Da quando lo abbiamo lasciato dai nonni una settimana, non c’è giorno che non si faccia il piantino. Che dura due secondi, ma quasi è diventato un rito. Lo fa apposta anche quando lo andiamo a prendere: lui gioca tranquillo, ci vede, e inizia a piangere. Della serie: “Ho pianto ininterrottamente per 7 ore, non mi credete?”. Piccola canaglia. Piange anche quando lo mettiamo sul fasciatoio per cambiargli il pannolino. Non so perché, prima non lo faceva. Si divincola come un’anguilla quando cerco di rivestirlo.