Ho rivisto oggi uno dei miei ex coinquilini. Non quello che si sposa in Puglia, l’altro. Era a Milano per cazzeggio e così ci siamo incontrati per un aperitivo al volo. Davide vive a Venezia con la compagna e un nano di 4 anni. Mi ricordo la sera in cui ci ha detto che sarebbe diventato papà. Secoli fa, ma sembra ieri.
“Non pensate al secondo?”, mi ha chiesto subito, dopo il primo sorso di vino. “Sì certo, dopo di te!”, gli ho risposto ironico. E così, ci siamo messi a pensare. Quando vivevamo nello stesso appartamento ci sparavamo sempre lunghe chiacchierate. Sulla vita, sulle donne, sulla politica, sulla religione. Avevamo quasi sempre visioni e opinioni diverse, ma quando iniziavamo a parlare il confronto era serrato. Eravamo entrambi affascinati dai pensieri dell’altro. Anche se non lo ammetteremmo mai, neanche sotto tortura. I nostri discorsi potevano durare ore. Discorsi sul nulla a volte. Ma di quelli che ti davano una grande soddisfazione, soprattutto dopo un paio di birre a testa, una canna (lui) e la tv accesa con Porta a Porta o Ballarò in sottofondo.
Stavolta il discorso sul secondo figlio è durato poco. Troppo poco. Ci siamo visti davvero di sfuggita, una mezz’ora appena. Ma è bastata per farci suonare nella testa un campanello. “Fatelo subito il secondo perché poi crescono e c’è troppa distanza”, mi ha detto. Ho avuto l’impressione che il suo discorso fosse più un pensiero a voce alta che faceva per autoconvincere se stesso, più che convincere me. E così, ad ogni assalto rispondevo: “Ma fallo tu scusa! Perché io?” e lo prendevo in giro. Tra due amici come noi tutto è concesso. Sfotterci a vicenda sempre, su tutto.