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Pensieri di un papà

Un regalo che mi ha fatto battere il cuore

scatola regaloIl regalo è parte di noi, il regalo parla di noi. E infatti sono pochi i regali che mi hanno fatto battere il cuore. Ma ce n’è uno, più di tutti, che mi ha emozionato nel profondo. E se ci penso ancora mi emoziono…

Era il compleanno dei miei 28 anni. Sabato, primavera inoltrata. Io e Anna fidanzati, non proprio agli inizi, ma sicuramente ancora freschi. Non vivevamo insieme, ma ci vedevamo a casa di uno o dell’altro. Cene fuori, aperitivi, serate, cinema, teatro, ecc. Vita da fidanzati insomma…

Io ero stato fuori Milano tutto il giorno e ci eravamo sentiti via messaggio. WhatsApp non c’era ancora. Sarei tornato in città la sera verso l’ora di cena e di sicuro avremmo fatto qualcosa insieme. Ma io, il giorno del mio compleanno, ho quasi sempre i maroni girati e infatti non avevo voglia di uscire. La sfiga mi si è anche messa contro perché a pranzo mi si era pure rotto un dente. Un premolare devitalizzato spaccato di un quarto e che, affilatissimo, tagliava come un coltello l’interno della guancia. Più il dente sfregava la bocca e più grande diventava la vescica. Un dolore insopportabile. Lancinante. Era sabato tra l’altro e il dentista l’avrei chiamato lunedì. Quando servono i dentisti non ci sono mai.

Quindi avevo le balle girate a mille. Per il dente e per il mio compleanno. Sapevo che Anna mi avrebbe organizzato qualcosa per festeggiare. Ma non feci nulla per farle piacere, anzi. L’infantilismo e l’egoismo uniti sono una brutta bestia. Così, senza mai mandarle un messaggio durante il giorno per farle sapere a che ora sarei andato a prenderla a casa, mi presentai da lei poco prima delle 8. Lei era già preparata, truccata e vestita carina per l’occasione. Io senza neanche essere passato da casa per farmi una doccia. Apposta ovviamente. Perché ero scoglionato.

Appena la vidi le feci capire subito che non era serata. Scoprii che lei aveva prenotato un tavolo per due in un ristorante di piazza Vetra, dove saremmo voluti andare tempo prima, ma poi non andammo perché c’era già tutto pieno e all’epoca non avevamo prenotato. Mi misi a fare i capricci, spiegandole del dente, che non riuscivo bene a mangiare e che quindi la cena sarebbe saltata.

Il suo sguardo cambiò di colpo. Aveva preparato tutto nei minimi dettagli ed io, in un colpo solo, avevo buttato tutto nel cesso.

Salimmo in scooter, verso quella che era la mia vecchia casa dove abitavo con i miei coinquilini. Lei non parlò per tutto il tragitto. “Che cos’hai…”, le chiesi più volte, anche un po’ scocciato. Quando voglio so davvero essere una brutta persona. “Niente”, rispose. Non capii se i suoi occhi umidi fossero per il vento in scooter o perché pianse di frustrazione. Forse la seconda. Sullo scooter, davanti alle mie gambe, c’era un grande sacchetto con dentro una scatola. “Sarà il mio regalo”, immaginai freddamente.

Arrivammo a casa e non mi ricordo sinceramente come fu la nostra cena. Forse preparai una pasta veloce con quello che avevo in credenza. A tavola (un tavolo di plastica verde pisello dell’Ikea a cui mancava una gamba messo in mezzo ai divani neri di plastica trovati chissà dove e che facevano da sedia…) parlammo del più e del meno. Forse le raccontai la mia giornata, mi scusai per il mio comportamento, ma ribadii il dente mi faceva davvero male e non avevo voglia di festeggiare. Si arrabbiò, giustamente, perché comunque c’era modo e modo di rifiutare il suo invito a cena fuori.

Parlando scoprii anche che al mio regalo aveva lavorato tutto il giorno, ci aveva messo dell’impegno, anche mobilitando altre persone e rischiando di non prepararsi in tempo per uscire. Non sapendo cosa ci fosse dentro la mia curiosità aumentò.

Dopo cena, con le acque che un minimo si erano calmante, arrivò il momento di aprire il mio regalo. Una grossa scatola dipinta a mano da lei, legata con dello spago, un fiocco e un messaggio di auguri. Ma prima di aprire la scatola mi diede dei fogli A4 scritti a mano. Era una specie di caccia al tesoro…

“Caro Federico,

ricordi l’ultima discussione – seria – avuta qualche settimana fa? Credo proprio di sì!

Quella sera hai detto una cosa che mi ha davvero colpito: sostenevi che nell’amore due persone non rappresentano semplicemente due individui che “procedono” assieme, ma devono donarsi l’uno all’altro.

Bene.

Ho pensato. Ricordato ciò a cui più tengo, ciò che per me, in un modo o nell’altro ha un significato. L’ho tradotto in oggetto. E te l’ho impacchettato.

Ovviamente non c’è, e non può esserci tutto… ma è pur sempre una rassegna significativa!”.

E negli altri fogli seguiva un elenco dettagliato con il catalogo delle “opere”. Raccontate minuziosamente, come se fossero opere d’arte, con tanto di materiale di cui erano composte (inchiostro su pagine di quaderno strappate, pelle plastica ingranaggi, cuoio e vernice, plastica nastro e carta ecc.), con descrizioni ironiche sul perché per lei significassero qualcosa.

E dentro la scatola, poco alla volta, leggendo insieme scoprimmo tutti gli oggetti che conteneva: il suo primo tesserino della palestra, un paio di scarpe col tacco che avevano fatto la storia, un pezzo della sua tesi di laurea, un disegno a matita fatto da piccola, un’audiocassetta degli Ace of Base che ascoltava da adolescente, Cent’anni di solitudine di Marquez e altro.

Appena iniziammo a leggere insieme le “istruzioni” della scatola io avevo già intuito tutto. E a stento tratteni le lacrime. Poi, quando mi mostrò un mini-album su cartoncino nero su cui aveva incollato le sue foto da piccola (dai quattro anni in su, fino all’adolescenza, compresa una foto dei suoi genitori che io non avevo ancora conosciuto) scoppia a piangere a dirotto. Era piccola, ed era già bellissima. Stupenda.

Ci rimasi secco, come direbbe il giovane Holden. Secco. E tra i singhiozzi non riuscii neanche a parlare. Mi ci volle un po’ per smettere. Provai un misto di gioia, senso di colpa, estasi mistica, perché quel gesto, che da una come lei non mi sarei mai aspettato, mi fece intuire tante cose.

Che in qualche modo, simbolicamente, era disposta a regalarmi la sua vita e io, già da allora, intuii che ero pronto ad accoglierla. Era solo questione di tempo. Perché, chissà come, ci eravamo incontrati. E nonostante io facessi di tutto per non meritare il suo amore, lei riusciva sempre a perdonarmi. Forse facevo apposta, per testare la sua pazienza. Perché con me, purtroppo, di pazienza ne ha sempre dovuta impiegare tante. Intuii che con una persona così, ne valeva davvero la pena.E, dopo più di 7 anni da quella sera, posso dire, senza retorica, che vale ancora. Nonostante spesso me lo dimentichi.

Questo post sostiene la Fondazione Mission Bambini che nel weekend del  12 e 13 dicembre sarà con i suoi volontari nelle piazze di tutta Italia per dar vita all’evento “Le piazze del cuore”. I fondi raccolti serviranno ad operare 100 bambini nati con una grave malattia al cuore in un Paese povero. Scopri la piazza più vicina su www.missionbambini.org. Segui #amicidelcuore.

Di Fede

Blog di un papà imperfetto