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Pensieri di un papà

La virtù della pazienza

Credo che una delle cose che un papà debba esercitare più di tutte sia la pazienza.

Quella che io non ho.

Ci sono momenti in cui il gnappo mi fa veramente uscire dai gangheri, il più delle volte, per minchiate e cose banali su cui potrei anche sorvolare.

Ma a volte è più forte di me. È come se lui ce la mettesse tutta per farmi sclerare e io ce la mettessi tutta per farmi infastidire da quello che fa o dice.

Devo essere proprio in buona per tenere la calma ed evitare di sclerare urlandogli dietro.

Mantenere la calma dovrebbe diventare uno sport olimpico perché è una delle cose più difficili, altro che staffetta 4X100, quella è una passeggiata di salute.

Diciamo la verità, ognuno di noi ci mette del suo per rompere le scatole all’altro. Solo che quello più grande sono io ed essendo figura genitoriale dovrei capire il punto di vista di mio figlio e fare di tutto per educarlo al meglio.

In teoria.

La pratica è che invece di educarlo con calma e pazienza come farebbe un Mario Montessori qualsiasi, io gli urlo dietro oppure lo punisco ed è finita lì.

Roba da far girare nella tomba tutti gli insigni pedagogisti dei primi del ‘900.

Ci sono dei momenti poi in cui sappiamo che lo sclero è in agguato.

I compiti.

Ecco, riuscire a far fare i compiti al gnappo è più difficile che mettersi ad estrarre bitcoin con uno smartphone.

Prima bisogna convincerlo a iniziare a farli. Poi farglieli fare da solo perché lui non vuole essere aiutato. Poi correggerli e provare a farli insieme. E di conseguenza sclerare perché di solito sono tutti sbagliati e lui si infastidisce perché pensava di averli fatti giusti e vive la correzione come una ferita al suo orgoglio.

C’è poi lo sclero perché lui e suo fratello si menano ed essendo lui il più grande va sempre a finire che il piccolo piange e lui ride.

E io mi incazzo anche lì ovviamente.

Perché dopo avergli detto triliardi di volte di non menarsi e di non fare male a suo fratello che è più piccolo, puntualmente quello per nervoso o per sbaglio gli fa del male (l’altro invece è più fortunato perché essendo piccolo può menare con tutta la forza il grande che tanto sopporta).

Le discussioni per andarsi a lavare i denti.

Lo dici una, due, tre, otto, venti, trecentoquarantasette volte e dopo mezz’ora ancora i denti non se li sono lavati.

E la vena del collo si ingrossa…

Alla mattina uguale per vestirsi.

Insomma, quello che dovrebbe essere il famoso “tempo di qualità” che uno dovrebbe passare coi figli in realtà è un tempo di sclerate continue.

Che poi a me dispiace perché se mi metto nei loro panni è anche brutto avere un papà (e una mamma anche perché nonostante Anna sia la pace interiore fatta persona riescono a far arrabbiare anche lei) che ti urla addosso sempre.

Perché io poi passo dalla parte del rompiballe ovviamente. Quando invece dovrei un minimo insegnarli a stare al mondo, ma non spiegandogli il senso della vita a nove e sei anni, semplicemente facendogli capire che i denti vanno lavati perché se no si cariano o che l’acqua del cesso va tirata dopo aver fatto la cacca.

Sono due maschi quindi andiamo sulle cose basic proprio.

Non gli devo spiegare a stare al mondo, devo solo insegnargli quel minimo di igiene personale, quelle regole perché la casa non venga distrutta o quelle attenzioni perché non vadano in pericolo fuori casa.

Ma niente, sembra che il buonsenso non abiti in questa casa.

E neanche la pazienza purtroppo perché ripetere sempre le stesse cose è frustrante.

Ok, ditemi voi, vediamo se arrivano gli “eh, ma tu li devi capire, devi provare con il rinforzo positivo, devi spiegargli il perché ecc. ecc.”.

Tutti bravi coi figli degli altri.

Qua non serve un papà, ve lo dico, qua serve un addestratore di cani.

Ma vista la loro disconnessione dal mondo (e dico loro, ma quando si parla di disconnessione è il gnappo che vince) anche Pavlov farebbe fatica.

Di Fede

Blog di un papà imperfetto