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Noi quattro

Pesi e contrappesi, con il gnappo che diventerà un black bloc

pesi e contrappesi“Mettere per scritto i propri pensieri significa soprattutto precisare ed esplicitare ciò che era ancora informe e perfino inconsapevole”. (Eugenio Scalfari).

E infatti dopo che ho scritto il post sul mio rapporto con The Second, la nostra relazione sta poco alla volta migliorando. Gli ho parlato da solo, mi sono scusato con lui per la mia indifferenza nei suoi confronti, ho pianto anche. Perché mi è dispiaciuto non averlo considerato nei primi cinque mesi della sua vita.

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Noi quattro

Il capro espiatorio

capro espiatorioCon l’inizio del 2015 ho un nuovo lavoro da sbrigare casa: quello di capro espiatorio del gnappo. Mi mancava l’inizio di una nuova fase e questa è quella del “diamo addosso a papà per qualsiasi cosa”. Praticamente gli girano i cinque minuti ogni tre per due. E cosa fa? Mi si scaglia contro in preda alla rabbia che non riesce ancora a controllare.

Il fatto è che non mi mena solo quando gli dico di no. Ieri non riusciva a montare un Lego. Prova una volta, non ce la fa, e alla seconda subito s’incazza (in quanto a pazienza ha preso da me devo dire…).

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Io lei e l'altro

I micro bulli da parchetto e il gnappo punching ball

signora dumboIeri per la prima volta mi sono sentito come la signora Jumbo quando le prendono in giro il piccolo elefantino. Non mi reputo un papà ansioso (almeno non eccessivamente) né tantomeno iperprotettivo. Ma quando vedo che gli altri bambini picchiano (senza motivo) il gnappo, mi va il sangue al cervello.

Scena: parchetto, esterno pomeriggio.

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Io lei e l'altro

Le 10 cose in cui mio figlio è più bravo di tutti

mio figlio è il miglioreE’ vero, i figli andrebbero incoraggiati, motivati, dando loro fin da piccoli la giusta autostima. Se fanno una cosa giusta è giusto applaudirli. Mai colpevolizzarli invece per un insuccesso.

Io cerco di sostenere il gnappo, di tifare per lui. Non so però se lo faccio abbastanza e nel modo giusto. Di solito la prendiamo con ironia. Di sicuro non siamo i genitori che dicono: “Mio figlio è bravissimo a fare questo, quello e quell’altro”. Perché genitori così ci sono. Quelli per i quali il proprio nano è da premio Nobel già a due anni. Il migliore in tutto.

Non so, forse sbagliamo noi a rimanere troppo con i piedi per terra. A non farci troppi film. Ad alzare un sopracciglio quando il gnappo fa il birichino e a non dirgli sempre: “Uh che bello, uh che bravo”. Perché lui, come tutti, ha già i suoi piccoli difetti. Ma ha anche i suoi pregi. E credo sia giusto ogni tanto riconoscerli.

Ho pensato quindi alle cose in cui Momo, a due anni e mezzo, è imbattibile. Quelle in cui è “il più bravo di tutti”, o almeno quelle che gli riescono davvero bene. Ne ho trovate 10.

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Non si danno gli schiaffi! 不要給摑 !

cina schiaffiC’è da dire una cosa. Il gnappo, in quanto a coerenza e a tradizioni, è un vero maestro. Più o meno un anno fa (grazie caro blog che tieni il conto di quanto tempo è passato) era iniziata la fase schiaffi. Mi sono accorto che potrei copiaincollare paro paro tutto il post di allora e ripubblicarlo oggi: perché siamo sempre al punto di partenza. Anzi, forse anche peggio visto che crescendo ed essendo più forte e dinamico il nano adesso, quando ha i suoi scleri, ci fa ancora più male.

Praticamente non gli puoi dire di no o fargli fare una cosa che non vuole. E’ una lotta continua (anche se gli anni 70 sono finiti e la sinistra extraparlamentare è solo un ricordo). Alla fase schiaffi (più che fase ormai siamo nella “routine schiaffi“) adesso si è aggiunta anche la fase testate. Sì perché quel barattolo di due anni e mezzo in olio d’oliva fa di tutto quando è arrabbiato. Pizzichi sul collo, calci, morsi, schiaffi e testate alla Zidane. L’ultima volta eravamo sul lettone: ha caricato come un Capricorno e mi ha dato una capocciata in pieno naso. Non sto a dire il male che ho provato. Da lacrime agli occhi. Quasi da rottura del setto nasale.

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La sculacciata

mahatma-gandhiIo sono uno pacifico. Odio la violenza. Sì, ogni tanto mi girano le balle, ma nei limiti del normale. E comunque non alzo mai le mani. Difficilmente sbotto o mi lascio andare a gesti inconsulti. Non sono iracondo e alla violenza di solito porgo l’altra guancia.

Ma ci sono delle volte in cui il gnappo farebbe perdere la pazienza anche a Gandhi. Te le tira proprio fuori dalle mani. La scena si ripete più o meno sullo stesso tema: gli schiaffi che lui dà a me (e alla mamma) nonostante da un anno e mezzo gli diciamo, in tutti i modi ma inutilmente, di non dare.

L’altra sera, dopocena, eravamo sul tappeto, come al solito, a giocare. Tra noi il gioco è più fisico ovviamente. Ci divertiamo così. Ma ci sono dei limiti. E il limite è lo schiaffo in faccia. Soprattutto quando è dato (da lui) con una brutta intenzione. Quella tipo: “Adesso ti mollo un marrovescio che te lo ricordi!”.

Lui è uno rissoso e per calmarlo ci vorrebbero i buttafuori. Di solito parte così: mi viene addosso, inizia a smanacciare e, in qualche modo, arriva alla mia faccia. Al che io smetto di giocare e gli dico “No schiaffi!“. Ma lui mica si ferma. E’ più forte di lui. Non riesce a controllarsi. Parte come un gioco e finisce in tragedia. Ma non è ancora finita…

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Io lei e l'altro

Odi et amo, dall’abbraccio al capriccio

baby herman roger rabbitQuando il gnappo mi vede uscire di casa piange. Succede più spesso la sera. Mi si attacca alle gambe e si mette tra me e la porta. Non nego che questo attaccamento mi fa piacere. Forse è affezionato anche a me, non solo alla mamma. Certo, con lei è tutta un’altra storia. Una volta che è uscita a cena con le sue amiche, il nano era disperato. E’ rimasto cinque minuti in anticamera, con un pianto inconsolabile. Scena straziante: voleva infilare le sue ditine nella porta blindata chiusa per cercare di aprirla.

Ci ho messo del bello e del buon per calmarlo e metterlo a letto. Neanche la scopa, oggetto feticcio che gli piace tanto, è servita a farlo smettere di piangere. Ce l’ho fatta solo con un libro di favole che abbiamo sfogliato sul lettone. Ovviamente la mamma è sempre la mamma.

Però quando mi vede tornare a casa, quando sente la chiave che entra nella porta, più o meno al solito orario, mi corre incontro. Si attacca alle gambe, all’altezza delle ginocchia e ride contento. Poi, un secondo dopo, si mette ad indicare il mio casco per cui va matto. Magari quel giorno non l’avevo neanche preso su, visto che ero andato al lavoro in bici, ma lui lo indica lo stesso. Perché di solito, quando rientro a casa ce l’ho ancora in testa.

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Evoluzioni gnappesche tra sorrisi, schiaffi e nuove facce

bimbo paraculoI terrible two si avvicinano. Passata la boa dei 19 mesi, tra poco arriveranno i 20. E i 24 sono a un passo. Da quando ha finito l’asilo, a metà luglio, prima di andare in vacanza, il gnappo ha fatto passi da gigante. Nelle due settimane in cui non l’ho visto è cresciuto, e non solo di peso, anche grazie alla “cura” con pranzi e cene in hotel coi nonni. Il download delle espressioni facciali e dei versi è aumentato di brutto. Fa delle facce troppo ridicole quando vuole fare lo scemetto. Prima era più rinco, mentre adesso è sveglio come pochi quello là. E’ bel birichino, un vero balosso, come si dice dalle mie parti.

Quando li ho raggiunti per portarli al mare ad agosto mi sono accorto della differenza. Perché l’unico modo per rendermi davvero conto dei progressi che fa è non vederlo per qualche giorno. Se ce l’ho sempre sotto gli occhi non mi accorgo delle differenze. Ma quando capita di stare lontano per una settimana, capisco cosa provano gli amici o i nonni che lo vedono ogni tanto: stupore e meraviglia. In un battibaleno me lo ritroverò alle elementari, già lo so. Il tempo passerà anche troppo in fretta. Questione di punti di vista. Quando lo guardo nel lettino mentre dorme (bello spaparanzato con le gambe distese che quasi non ci sta più tra le sbarre) mi chiedo dove è finito quel microbimbo che ancora non riusciva a girarsi sulla schiena e ciucciava (o meglio, tentava di ciucciare) il latte dalle tette della mamma. Ed è passato un anno e mezzo, mica secoli.

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La “fase schiaffi”, speriamo passi presto

bud spencer schiaffiE’ un po’ che non parlo del gnappetto. Quello là sta crescendo in men che non si dica e quando guardo le foto di un anno fa mi chiedo come abbia fatto in così poco tempo a cambiare così tanto. Quello lì è un bel tipetto. Eh sì, c’ha le sue idee. A un anno e mezzo. Ieri una nonna perfetta (oltre le “mamme perfette”, esistono anche le “nonne perfette” e sono ancora più temibili delle figlie perfette) al parchetto mi ha detto: “Uh che bello, quanto ha? Un anno?”. Volevo sprofondare.

Ma a parte le dimensioni ridotte, i capelli che sono più o meno ancora quelli di un neonato, i denti che si sono fermati a sei (quattro sopra e due sotto) e l’afasìa (a un anno e mezzo neanche dice mamma, se non a caso, quando capita) è un bel fagotto. Un barattolo, come lo chiamano all’asilo, dove adesso che c’è caldo lo lasciano col body smanicato e i pantaloni ascellari alla Fantozzi. E’ un bel tomino quello lì. Mangia un po’ di più dei mesi scorsi, ma non è un mangione. Più che altro è un beone: beve giorno e notte dalla sua bottiglietta, che in due minuti riesce a far fuori, sempre che l’acqua non gli vada di traverso. Il sonno è sempre un miraggio. Si sveglia ancora, di media, se va bene, un paio di volte. Se va male, molte di più. Con una, stappiamo lo champagne.

All’asilo è il cocco. E’ il preferito di ben due maestre che vengono cazziate dalla terza perché spudoratamente stravedono per lui. Adesso quando lo accompagniamo la mattina e lo lasciamo nelle mani della maestra, piange. Di default. Prima non lo faceva. Da quando lo abbiamo lasciato dai nonni una settimana, non c’è giorno che non si faccia il piantino. Che dura due secondi, ma quasi è diventato un rito. Lo fa apposta anche quando lo andiamo a prendere: lui gioca tranquillo, ci vede, e inizia a piangere. Della serie: “Ho pianto ininterrottamente per 7 ore, non mi credete?”. Piccola canaglia. Piange anche quando lo mettiamo sul fasciatoio per cambiargli il pannolino. Non so perché, prima non lo faceva. Si divincola come un’anguilla quando cerco di rivestirlo.